LA CORTE DI APPELLO DI LECCE 
                        Sezione unica penale 
 
    Composta dai sigg.: 
        dott. Vincenzo Scardia Presidente; 
        dott. Domenico Cucchiara Consigliere; 
        dott. Giuseppe Biondi Consigliere rel. 
    Letti gli atti del procedimento penale  in  epigrafe  indicato  a
carico di: N P P , nato a ... il ...,  difeso  di  fiducia  dall'avv.
Antonio Bolognese del Foro di Lecce 
    Imputato del reato p. e p. dall'art 368 codice penale per  avere,
con querela sporta ai Carabinieri di San Pietro in  Lama,  falsamente
accusato, pur sapendolo innocente, il suo dipendente D N A del  reato
di appropriazione indebita di n. 20 assi di legno, accusa che poi  si
rivelava infondata. 
    In San Pietro in Lama il 18 dicembre 2010. 
    Parte civile costituita: D N A, nato a ... il ...,  rappresentato
e difeso dall'avv. Gianfranco Gemma del Foro di Lecce 
 
                              Osserva: 
 
1. Premessa e svolgimento del processo. 
    Con sentenza del Tribunale di Lecce dell'8 febbraio 2017, N  P  P
veniva  ritenuto  responsabile  del  reato   ascrittogli   e   veniva
condannato alla pena di anni due di reclusione,  oltre  al  pagamento
delle spese processuali. Pena sospesa, subordinata al pagamento della
somma liquidata a titolo  di  risarcimento  del  danno  entro  giorni
novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, e non menzione. Il
N veniva altresi' condannato a risarcire  il  danno  alla  costituita
parte civile, D N A , che veniva liquidato in euro  10.000,00,  oltre
interessi fino alla data del pagamento e spese di costituzione. 
    Avverso  la  citata  sentenza  proponeva  tempestivo  appello  il
difensore dell'imputato,  censurando  la  pronuncia  sulla  base  dei
seguenti motivi: 
    1. Con  il  primo  motivo  di  appello  si  censura  la  sentenza
impugnata, avendo basato il proprio convincimento il giudice di prime
cure sulla  base  delle  sole  dichiarazioni  della  persona  offesa,
costituitasi parte civile, senza alcun riscontro probatorio. In fatto
sarebbe emerso che la persona offesa avrebbe ottenuto  dalla  Sezione
Lavoro del Tribunale di Lecce una sentenza di condanna nei  confronti
della societa' amministrata dall'appellante non  ancora  ottemperata,
cio' che avrebbe generato un sentimento che certamente  non  potrebbe
essere ritenuto «neutro». Quindi, sebbene la  giurisprudenza  ammetta
la possibilita' di fondare una sentenza di condanna sulla base  delle
sole dichiarazioni della persona offesa, tuttavia questa possibilita'
si restringerebbe laddove le dichiarazioni fossero provenienti da una
persona offesa animata  da  «sentimenti  di  rivalsa».  Nel  caso  di
specie, le dichiarazioni della parte  lesa  avrebbero  dovuto  essere
vagliate molto piu' attentamente dal giudice di primo  grado,  tenuto
conto dei sentimenti di inimicizia esistenti  tra  il  dichiarante  e
l'imputato e dell'esistenza di una  controversia  di  lavoro  tra  le
medesime parti. 
    2. Con il secondo motivo di impugnazione si censura  la  sentenza
di primo grado laddove ha ritenuto  sussistenti  tutti  gli  elementi
costitutivi del reato. In particolare, sarebbe carente la prova circa
la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. L'imputato avrebbe
mosso le accuse in virtu' di quanto gli  era  stato  riferito  da  un
dipendente della sua societa', che, una volta ascoltato, era  apparso
sul  punto  reticente.  Da   questo   sarebbe   scaturito   l'erroneo
convincimento circa la  colpevolezza  dell'accusato,  avvalorato  dal
fatto che lo stesso era in possesso delle chiavi del deposito  presso
il quale si trovavano le assi di legno rivendicate. 
    Si conclude chiedendo l'assoluzione dell'imputato con la  formula
piu' ampia. 
    L'udienza in appello del 25  ottobre  2019,  assente  l'imputato,
veniva rinviata per l'adesione  del  difensore  all'astensione  dalle
udienze proclamata dal competete organismo forense. 
    All'odierna  udienza  del  6  novembre  2020,   all'esito   della
discussione e della Camera di consiglio, e' stata emessa la  seguente
ordinanza, di cui si  e'  data  lettura  alle  parti  presenti  o  da
ritenersi legalmente tali. 
2. In punto di rilevanza della questione. 
    Va  osservato  che  il  reato  ascritto  al  N  e'  estinto   per
prescrizione a fare  data  dal  20  aprile  2019,  e  cioe'  in  data
antecedente alla prima udienza tenutasi in appello in data 25 ottobre
2019   (cio'   rende   ininfluente   la   sospensione   del   termine
prescrizionale disposta in conseguenza del rinvio di  questa  udienza
per l'adesione del difensore all'astensione proclamata dal competente
organismo forense). 
    Invero, il termine massimo  prescrizionale  sarebbe  maturato  in
data 18 giugno 2018 (anni sette e mesi sei dalla data di  commissione
del reato, ai sensi del combinato disposto degli articoli 157 e  161,
comma 2, c.p.). Va aggiunto, pero', il  periodo  di  sospensione  del
termine di prescrizione conseguente al rinvio dell'udienza  di  primo
grado  del  2  aprile  2014  all'udienza  del  4  febbraio  2015  per
l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata  dal
competente organismo forense, pari a complessi mesi  dieci  e  giorni
due, cio'  che,  come  detto,  sposta  la  scadenza  del  termine  di
prescrizione al 20 aprile 2019. 
    Cio'  posto,  e'   noto   che,   all'esito   del   giudizio,   il
proscioglimento  nel  merito,  in  caso   di   contraddittorieta'   o
insufficienza della prova, non prevale  rispetto  alla  dichiarazione
immediata di una causa di non punibilita',  salvo  che,  in  sede  di
appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il  giudice  sia
chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio
probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata
nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una
sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530,  comma
secondo, codice di procedura penale (Cass. pen. sez.  un.  28  maggio
2009, n. 35490). 
    Invero, la previsione di cui all'art.  578  codice  di  procedura
penale - per la quale il giudice di appello o quello di legittimita',
che dichiarino l'estinzione per amnistia o prescrizione del reato per
cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti  a  decidere
sull'impugnazione agli effetti  delle  disposizioni  dei  capi  della
sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i  motivi
di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati  compiutamente,
non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento  del  danno
in ragione della  mancanza  di  prova  dell'innocenza  dell'imputato,
secondo quanto previsto  dall'art.  129,  comma  secondo,  codice  di
procedura penale; pertanto, la sentenza di appello che non compia  un
esaustivo  apprezzamento  sulla  responsabilita'  dell'imputato  deve
essere  annullata  con  rinvio,  limitatamente  alla  conferma  delle
statuizioni civili (Cass. pen. sez. VI, 20 marzo 2013, n.  16155;  in
senso conforme Cassazione pen. sez. un. 18  luglio  2013,  n.  40109;
Cassazione pen. sez. V, 7 ottobre 2014, n.  3869/15).  All'esito  del
giudizio,   il   proscioglimento   nel    merito,    in    caso    di
contraddittorieta' o insufficienza della prova, non prevale  rispetto
alla dichiarazione immediata di una causa di non  punibilita',  salvo
che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del  reato,
il giudice sia chiamato a  valutare,  per  la  presenza  della  parte
civile e in seguito ad un'espressa domanda in tal senso, il compendio
probatorio ai  fini  delle  statuizioni  civili,  previa  incidentale
valutazione della responsabilita' penale  (Cass.  pen.  sez.  II,  18
luglio 2014, n. 38049). 
    Come ha chiarito di recente la Corte costituzionale (sentenza  n.
176 del 2019), nel processo penale l'azione civile «assume  carattere
accessorio e  subordinato  rispetto  all'azione  penale,  sicche'  e'
destinata a subire tutte le conseguenze e gli  adattamenti  derivanti
dalla funzione e dalla struttura del  processo  penale,  cioe'  dalle
esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei  reati
e alla rapida definizione dei processi» (ex plurimis, sentenza  Corte
costituzionale n. 12 del 2016); l'assetto generale del nuovo processo
penale e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi,  penale  e
civile, essendo prevalente, nel disegno  del  codice,  l'esigenza  di
speditezza e di sollecita definizione del processo  penale,  rispetto
all'interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria  azione
nel processo medesimo. Sicche' «l'idea di fondo  sottesa  alla  nuova
codificazione [...] e'  che  la  costituzione  di  parte  civile  non
dovesse essere comunque "incoraggiata"» (sentenza n. 12 del 2016). Il
fulcro di questo  sistema  e'  imperniato  sull'art.  538  codice  di
procedura penale: il giudice  penale  decide  sulla  domanda  per  le
restituzioni e il risarcimento del danno se - e solo se  -  pronuncia
sentenza di condanna dell'imputato,  soggetto  debitore  quanto  alle
obbligazioni  civili.  Il  giudice  penale,  neppure  quando   emette
sentenza di assoluzione dell'imputato in quanto  non  imputabile  per
vizio totale di mente, puo' pronunciarsi distintamente sulle  pretese
restitutorie  o  risarcitorie  della  costituita  parte  civile.   E'
sufficiente ricordare in  proposito  il  principio,  affermato  dalle
Sezioni Unite della Corte  di  cassazione,  secondo  cui  il  giudice
dinanzi al  quale  sia  stata  impugnata  una  sentenza  di  condanna
relativa a reato successivamente  abrogato,  nel  dichiarare  che  il
fatto non e' piu' previsto dalla  legge  come  reato,  deve  revocare
anche i capi della  sentenza  che  concernono  gli  interessi  civili
proprio perche' questi non possono non accompagnarsi a una  pronuncia
di condanna dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 29 settembre - 7 novembre 2016, n. 46688). Cio' conferma  il
carattere accessorio  di  tali  pretese  civilistiche,  quando  fatte
valere nella sede penale. Alla regola generale dell'art.  538  codice
di procedura penale, pero', l'art. 578  codice  di  procedura  penale
introduce  una  deroga.  Se  il  giudice  (penale)  dell'impugnazione
perviene a una pronuncia dichiarativa dell'estinzione del  reato  per
amnistia o per prescrizione, non di meno decide sull'impugnazione, ai
soli effetti  delle  disposizioni  e  dei  capi  della  sentenza  che
concernono gli interessi civili, quando nei  confronti  dell'imputato
e' stata pronunciata - con la sentenza impugnata - la condanna, anche
generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal
reato a favore della parte civile. Inoltre, in sede  di  giudizio  di
cassazione, quando, infine, i  gradi  di  merito  sono  esauriti,  la
cognizione delle pretese  restitutorie  o  risarcitorie  della  parte
civile puo'  essere,  a  quel  punto,  devoluta  al  giudice  civile.
Infatti, l'art. 622 codice di procedura penale prescrive che la Corte
di cassazione, se annulla solamente le  disposizioni  o  i  capi  che
riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della  parte
civile contro la sentenza di proscioglimento  dell'imputato,  rinvia,
quando occorre, al giudice civile competente per valore in  grado  di
appello,  anche  se  l'annullamento  ha  per  oggetto  una   sentenza
inappellabile. Questo sistema complessivo, dunque, e'  retto  da  una
regola (art. 538 c.p.p.) declinata con eccezioni (articoli 578 e  622
c.p.p.). 
    Orbene, a  differenza  della  mera  sentenza  dichiarativa  della
prescrizione del reato in  primo  grado,  che  non  puo'  mai  essere
ritenuta sentenza di «condanna», non comportando l'attribuzione dello
status di condannato  nei  riguardi  dell'imputato,  la  sentenza  di
appello che, dichiarando l'estinzione  del  reato  per  prescrizione,
confermi le statuizioni civili, viene  ad  essere  equiparata,  nella
sostanza,  ad  una  sentenza  di  «condanna»,  e   cio'   si   ricava
espressamente  anche  dalla   giurisprudenza   di   legittimita',   e
segnatamente dalla recente  sentenza  delle  Sezioni  Unite,  che  ha
affermato l'ammissibilita', sia agli effetti penali che civili, della
revisione richiesta ai sensi dell'art.  630,  comma  1,  lettera  e),
codice di procedura penale, della sentenza  del  giudice  di  appello
che, prosciogliendo l'imputato per l'estinzione del  reato  dovuta  a
prescrizione  o  amnistia,  e  decidendo  sull'impugnazione  ai  soli
effetti delle disposizioni  e  dei  capi  concernenti  gli  interessi
civili, abbia confermato la condanna al risarcimento  dei  danni  nei
confronti della parte civile (Cass. pen. sez. un. 25 ottobre 2018, n.
6141/19,).  Invero,  si  legge  nella  sentenza,  nel  caso  previsto
dall'art. 578 codice di procedura penale, come nell'analogo  caso  di
cui all'art.  578-bis  codice  di  procedura  penale,  l'imputato  va
ritenuto «condannato» sebbene ai soli fini delle statuizioni civili o
di confisca, e, dunque, la relativa sentenza potra' essere oggetto di
revisione; ma questi casi sono radicalmente diversi da quelli in  cui
alla sentenza di prescrizione non si accompagna la statuizione civile
o quella di confisca, perche' in questi casi  l'imputato  non  potra'
essere ritenuto un «condannato». 
    Cosi' ricostruito il sistema, deve osservari che, benche' estinto
il reato contestato al N per prescrizione, la  presenza  della  parte
civile, in uno con i motivi di appello, tutti incentrati sull'assenza
di penale responsabilita'  in  capo  all'appellante,  obbligherebbero
questa  Corte  ad  una  rivalutazione  piena  della   responsabilita'
«penale» del N  in  ordine  allo  stesso  fatto-reato  contestatogli,
peraltro, sulla  base  del  medesimo  materiale  probatorio  avuto  a
disposizione  dal  giudice  di  prime  cure,  sia  pure  ai  fini  di
confermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice. 
    E' rilevante, pertanto, la questione della  conformita'  di  tale
sistema e, in particolare, dell'art. 578 codice di procedura  penale,
che di esso e' la trasfusione  normativa,  relativamente  al  diritto
fondamentale al  rispetto  della  presunzione  di  innocenza  di  cui
all'art. 6, comma 2, Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cosi' come declinato
dalla giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  da
intendersi come parametro interposto dell'art. 117 Cost. 
    Peraltro, la questione assume  rilevanza  anche  in  ordine  alla
conformita' del sistema sopra  delineato  e,  quindi,  dell'art.  578
codice di procedura penale, rispetto al diritto dell'Unione  europea,
e, in specie, in relazione  agli  articoli  3  e  4  della  direttiva
2016/UE/343 e  art.  48  CDFUE,  anche  in  questo  caso  letti  come
parametri interposti degli articoli 11 e 117 Cost. 
3. In punto di non manifesta infondatezza della questione. 
    3.1. Rispetto alla Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Come e' noto, l'art. 6,  comma  2,  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
tutela il  «diritto  alla  presunzione  di  innocenza  fino  a  prova
contraria». Considerata come una garanzia procedurale nel contesto di
un processo penale, la  presunzione  di  innocenza  impone  requisiti
relativi, tra l'altro, all'onere della prova, alle presunzioni legali
di fatto e di diritto,  al  privilegio  contro  l'autoincriminazione,
alla pubblicita' preprocessuale  e  alle  espressioni  premature,  da
parte della Corte processuale o di altri funzionari  pubblici,  della
colpevolezza di un imputato (Corte  EDU,  grande  camera,  12  luglio
2013, Allen e. Regno Unito, § 93). 
    Tuttavia, in linea con la necessita' di assicurare che il diritto
garantito  dall'art.  6,  comma  2,  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  sia
pratico e effettivo, la presunzione di innocenza ha  anche  un  altro
aspetto. II suo scopo generale, in questo secondo aspetto, e'  quello
di proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa  penale,
o nei confronti delle  quali  e'  stato  interrotto  un  procedimento
penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita'
come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato  (cfr.  Corte
europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 12 luglio  2013,  Allen
c. Regno Unito, § 94; Corte europea dei diritti dell'uomo, 28  giugno
2018, G.I.E.M. s.r.l. c. Italia, § 314). 
    Come espressamente indicato nell'articolo stesso, l'art. 6, comma
2, Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali si applica quando una persona e' accusata
di un reato. La Corte europea  dei  diritti  umani  ha  ripetutamente
sottolineato che si tratta di un concetto autonomo, che  deve  essere
interpretato   secondo   i   tre   criteri   stabiliti   dalla    sua
giurisprudenza, i noti Engel criteria  (Corte  EDU,  8  giugno  1976,
Engel e altri c. Paesi Bassi). Per  valutare  qualsiasi  denuncia  ai
sensi dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali,  che  insorga
nell'ambito  di  un   procedimento   giudiziario,   e'   innanzitutto
necessario  accertare  se  il  procedimento  contestato  comporti  la
determinazione di un'accusa penale,  ai  sensi  della  giurisprudenza
della Corte (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno
Unito, § 95). 
    Tuttavia, nei  casi  che  riguardano  il  secondo  aspetto  della
protezione offerta dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
si verifica quando il procedimento penale e' terminato, e' chiaro che
l'applicazione di tale criterio e' inappropriata. In questi casi,  il
procedimento penale si e' necessariamente concluso e, a meno  che  il
successivo  procedimento  giudiziario  non  dia  luogo  a  una  nuova
imputazione penale ai sensi della Convenzione, se l'art. 6, comma  2,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e' impiegato, deve esserlo per  motivi  diversi
(Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c.  Regno  Unito,  §
96). 
    Sotto questo profilo, la Corte europea dei diritti  dell'uomo  e'
stata chiamata a considerare l'applicazione  dell'art.  6,  comma  2,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali alle  decisioni  giudiziarie  prese  a  seguito
della conclusione del procedimento penale, a titolo di interruzione o
dopo  un'assoluzione,  in  procedimenti  riguardanti,  tra   l'altro,
l'imposizione di una responsabilita' civile per il  pagamento  di  un
risarcimento alla vittima (vedi Corte. EDU 11 febbraio 2003, Ringvold
c. Norvegia; Corte europea dei diritti dell'uomo 15 maggio 2008,  Orr
c. Norvegia; Corte europea dei  diritti  dell'uomo  19  aprile  2011,
Erkol c. Turchia; Corte europea dei diritti dell'uomo 12 aprile 2012,
Lagardere c. Francia). Nella gia' citata causa Allen c. Regno  Unito,
la Corte europea dei diritti  dell'uomo  ha  formulato  il  principio
della presunzione di  innocenza  nel  contesto  del  secondo  aspetto
dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  sostanzialmente
affermando che la presunzione di innocenza significa che, in presenza
di un'accusa penale  e  di  un  procedimento  penale  conclusosi  con
un'assoluzione, la persona che  e'  stata  oggetto  del  procedimento
penale e' innocente agli occhi della legge e deve essere trattata  in
modo coerente  con  tale  innocenza.  In  tale  senso,  pertanto,  la
presunzione di innocenza permarra'  anche  dopo  la  conclusione  del
procedimento penale, al fine di garantire che,  per  quanto  riguarda
qualsiasi accusa non provata, l'innocenza della persona in  questione
sia  rispettata.  Questa  preoccupazione  prioritaria  e'  alla  base
dell'approccio della Corte in merito all'applicabilita' dell'art.  6,
comma  2,  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali in questi casi. Ogniqualvolta
la questione dell'applicabilita' dell'art. 6,  comma  2,  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali si pone nel contesto di un procedimento  successivo,  il
richiedente deve dimostrare l'esistenza  di  un  legame,  come  sopra
indicato, tra il  procedimento  penale  concluso  e  il  procedimento
successivo. Tale legame e' probabile che sussista, ad esempio, quando
il  procedimento   successivo   richiede   l'esame   dell'esito   del
procedimento penale precedente e, in particolare, quando  obbliga  il
giudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o  a
una  valutazione  delle  prove  contenute  nel  fascicolo  penale;  a
valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni  o  a  tutti  gli
eventi  che  hanno  portato  all'accusa  penale;  a   commentare   le
indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. 
    Cio' posto, recentemente la Corte europea dei  diritti  umani  e'
stata chiamata ad occuparsi di un caso (Pasquini c.  San  Marino,  n.
23349/17, sentenza della III Sezione della Corte europea dei  diritti
dell'uomo del 20 ottobre 2020) del tutto sovrapponibile a  quello  in
esame in questo procedimento. Si  trattava  di  un  caso  in  cui  il
ricorrente, condannato in primo grado, non solo penalmente ma anche a
risarcire il danno nei confronti della costituita  parte  civile,  in
sede  di  appello  si  vedeva  dichiarare  estinto   il   reato   per
prescrizione, con  conferma  delle  statuizioni  civili,  sulla  base
dell'art. 196-bis del codice di  procedura  penale  sanmarinese,  che
cosi' recita: "quando 'imputato e' stato condannato a reintegrare  le
cose o a risarcire alla parte civile i danni causati da  un  reato  -
anche se il danno e' ancora da quantificare - il giudice di  appello,
che dichiara il reato prescritto,  decide  sulle  eccezioni  relative
agli obblighi derivanti dal reato, ai sensi dell'art. 140 del  codice
penale". Il ricorrente adiva la Corte dei diritti umani lamentando la
violazione  dell'art.  6,  comma  2,  Convenzione  europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Ebbene la Corte europea, ribadendo i consolidatti principi  sopra
riportati, riteneva innanzitutto applicabile nel caso  di  specie  il
disposto  dell'art.  6,  comma  2,   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali.
Invero, il  procedimento  penale  si  era  concluso  in  appello  con
l'interruzione del  procedimento  per  prescrizione.  In  conseguenza
dell'art. 196-bis del codice  di  procedura  penale  sanmarinese,  lo
stesso   giudice   dell'appello    penale    che    si    pronunciava
sull'imputazione  penale  era  anche   competente   a   decidere   il
risarcimento dovuto alla vittima.  Tuttavia,  la  determinazione  del
risarcimento alla vittima era una  fase  successiva  all'interruzione
del procedimento penale. In  quella  fase,  il  giudice  dell'appello
penale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad
avviare una revisione o una valutazione  delle  prove  contenute  nel
fascicolo penale. Egli doveva anche valutare  la  partecipazione  del
ricorrente ad alcuni  o  a  tutti  gli  eventi  che  avevano  portato
all'accusa  penale  e  commentare  le  indicazioni  esistenti   sulla
possibile colpevolezza del richiedente. Dunque, esisteva un nesso tra
le due determinazioni (vedi § 38 della  sentenza  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo 20.10.2020, Pasquini c. San Marino). 
    I giudici di Strasburgo ribadivano che il secondo  aspetto  della
tutela della presunzione  di  innocenza  entra  in  gioco  quando  il
procedimento penale si conclude  con  un  risultato  diverso  da  una
condanna,  sicche'  senza  una  tutela  che  garantisca  il  rispetto
dell'assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro
procedimento, le garanzie del processo equo di cui all'art. 6,  comma
2, Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  e
delle  liberta'  fondamentali  rischiano  di  diventare  teoriche   o
illusorie. Cio' che e' in gioco, una volta terminato il  procedimento
penale, e' anche la reputazione della persona e il modo in  cui  essa
viene percepita dal pubblico. In  una  certa  misura,  la  protezione
offerta dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali a questo riguardo
puo' sovrapporsi alla  protezione  offerta  dall'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (vedi ancora Corte europea dei diritti dell'uomo, grande
camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. e altri c.  Italia,  §  314).
Con  riguardo  a  dichiarazioni  successive   alla   cessazione   del
procedimento penale non con  sentenza  di  assoluzione,  ma  comunque
senza che l'imputato sia stato precedentemente  dimostrato  colpevole
secondo la legge, risulta violata la presunzione di innocenza se  una
decisione  giudiziaria  che  lo  riguarda  riflette  un'opinione   di
colpevolezza. In questi casi, il linguaggio  utilizzato  dal  giudice
sara' di fondamentale importanza per valutare la compatibilita' della
decisione e la sua  motivazione  all'art.  6,  comma  2,  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. Nei casi di richieste di risarcimento civile presentate
dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il procedimento si sia
concluso  con  l'interruzione   o   con   l'assoluzione,   la   Corte
sottolineava che,  sebbene  l'esonero  dalla  responsabilita'  penale
debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento civile,  non
dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilita'  civile  per
il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base
di un onere probatorio  meno  rigoroso.  Tuttavia,  se  la  decisione
nazionale sul risarcimento dovesse  contenere  una  dichiarazione  di
responsablita' penale della parte convenuta,  cio'  solleverebbe  una
questione rientrante nell'ambito dell'art. 6,  comma  2,  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. In particolare, la Corte riteneva che la presunzione di
innocenza fosse violata in situazione  in  cui  i  Tribunali  avevano
ritenuto «chiaramente probabile» che il ricorrente avesse commesso un
reato o avevano espressamente indicato che le prove disponibili erano
sufficienti per stabilire che  era  stato  commesso  un  reato  (vedi
paragrafi da 49 a 53 della citata sentenza Pasquini c. San Marino). 
    Facendo  applicazione  dei  su  riportati  principi,   la   Corte
esaminava il caso, notando che: 1) la causa civile era stata trattata
nell'ambito del procedimento penale; 2) la determinazione del giudice
dell'appello penale che riguardava proprio gli stessi fatti  imputati
al ricorrente nel corso del procedimento penale era stata  effettuata
senza alcuna distinzione circa la  qualificazione  giuridica;  3)  il
giudice dell'appello penale si era dovuto basare sulle  stesse  prove
esistenti nel fascicolo penale e non  erano  state  presentate  nuove
prove; 4) il giudice dell'appello penale,  pur  facendo  una  propria
valutazione di tali fatti, aveva confermato la constatazione di fatto
del giudice penale di prima istanza e aveva  proceduto  a  confermare
l'ordine  di  risarcimento  del  danno  senza  intraprendere   alcuna
considerazione rilevante per  quanto  riguarda  l'ammontare  di  tale
danno, basandosi pertanto interamente sulla sentenza di primo  grado;
5) il giudice dell'appello penale aveva basato la sua decisione sulla
constatazione che la parte civile aveva subito un  danno  dagli  atti
posti  in  essere  dal  ricorrente,  che  corrispondevano  al   reato
imputatogli e, quindi, il giudice dell'appello penale aveva stabilito
in modo inequivocabile che le azioni del  ricorrente  corrispondevano
agli atti criminali di cui era stato accusato, andando ancora  oltre,
dichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti
con dolo (cfr. paragrafi da 59 a 62). 
    E' vero che il ricorrente era gia' stato dichiarato colpevole  in
prima istanza. Tuttavia, aggiungevano i  giudici  di  Strasburgo,  la
giurisprudenza della Corte non distingueva  tra  i  casi  in  cui  le
accuse venivano sospese  perche'  cadute  in  prescrizione  prima  di
qualsiasi accertamento penale e quelli che venivano  sospese  per  lo
stesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. Pertanto,
affermava la Corte, le constatazioni di prima istanza, che  non  sono
definitive, non possono condizionare le determinazioni  successive  e
la Corte ribadiva che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel
formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo  l'interruzione
del procedimento penale (§ 63). 
    In conclusione, siccome le parole usate dal giudice  dell'appello
penale nel  decidere  in  materia  di  risarcimento  erano  tali  che
rappresentavano il comportamento del  ricorrente  come  riconducibile
agli atti criminali che gli erano stati imputati, rispetto  ai  quali
non vi era  alcun  dubbio  sull'esistenza  del  dolo,  queste  parole
equivalevano ad una dichiarazione inequivocabile  che  il  ricorrente
avesse commesso un reato, e cio' non era coerente con  la  cessazione
delle relative imputazioni a causa  della  scadenza  del  termine  di
prescrizione. Conseguenzialmente la Corte riscontrava  la  violazione
dell'art. 6, comma 2, Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (§ 64). 
    I principi espressi nella  sentenza  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, 20 ottobre 2020, Pasquini  c.  San  Marino,  costituiscono
«diritto   consolidato»   (secondo   quanto   ritenuto    da    Corte
costituzionale n. 49/2015; d'altra parte, come  sottolinea  la  Corte
europea dei diritti umani, «le sue sentenze  hanno  tutte  lo  stesso
valore giuridico. Il loro carattere vicolante  e  la  loro  autorita'
interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante
che le ha pronunciate»: vedi Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
grande camera, 28 giugno 2018, G.I.E..  s.r.l.  c.  Italia,  §  252),
ricollegandosi invero ad  una  consolidata  e  datata  giurisprudenza
europea (oltre alle sentenze sopra citate si veda anche Corte europea
dei diritti dell'uomo, 4 giugno 2013, Teodor c. Romania, e,  piu'  di
recente, con riguardo alla natura pregiudizievole per il diritto alla
presunzione  di  innocenza  di  un  decreto  di   archiviazione   per
prescrizione del reato, che presentava l'indagato come colpevole,  si
veda Corte europea dei diritti dell'uomo, 29 gennaio 2019,  Stirmanov
c. Russia, e ancora Corte europea dei diritti  dell'uomo,  3  ottobre
2019, Fleischner c. Germania). 
    La fattispecie appena descritta, oggetto della sentenza  Pasquini
c. San Marino, peraltro, si attaglia perfettamente al caso in  esame,
poiche' l'art. 578 codice di procedura penale  risulta  formulato  in
termini del tutto simmetrici all'art. 196-bis del codice di procedura
penale di San Marino. 
    Secondo La Cassazione, infatti,  dopo  la  sentenza  di  condanna
dell'imputato in primo grado, non solo alla sanzione penale, ma anche
al risarcimento  del  danno,  il  giudice  dell'appello  penale,  che
riscontra l'estinzione del  reato  per  prescrizione,  deve  statuire
anche in ordine alle questioni civili,  e,  a  tale  fine,  non  puo'
limitarsi a richiamare l'art.  129,  comma  2,  codice  di  procedura
penale, ma  deve  prendere  espressamente  posizione  sui  motivi  di
appello sollevati dall'imputato, anche in  punto  di  responsabilita'
penale, sicche' se giunge a confermare  le  statuzioni  civili,  cio'
puo'  fare  soltanto  implicitamente  riconoscendo  la   colpevolezza
dell'imputato. Se cio' non  emerge  dall'ordito  motivazionale  della
decisione, se con la sentenza il giudice di  appello  non  compie  un
esaustivo  apprezzamento  sulla  responsabilita'  dell'imputato,   la
pronuncia  deve  essere  annullata  con  rinvio,  limitatamente  alla
conferma delle statuizioni civili (vedi  la  gia'  citata  Cassazione
pen. sez. VI, 20 marzo 2013, n. 16155). 
    Non  e'  possibile,  pertanto,  procedere  ad  un'interpretazione
convenzionalmente conforme dell'art. 578 codice di procedura  penale,
ammettendo che il giudice di appello, che dichiara  l'estinzione  del
reato  per  prescrizione,  possa  confermare  le  statuizioni  civili
semplicemente richiamando l'art. 129, comma 2,  codice  di  procedura
penale, ovvero limitandosi a descrivere uno stato  di  sospetto,  che
non violerebbe di per se' l'art. 6, comma 2, Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(vedi Corte europea dei diritti dell'uomo 26 marzo 1996, Leutscher c.
Paesi Bassi). Secondo l'interpretazione della Cassazione, e cioe' del
diritto vivente, il giudice di appello  deve  compiere  un  esaustivo
apprezzamento della responsabilita' dell'imputato,  deve  affermarne,
cioe', implicitamente la  colpevolezza,  poiche'  nella  sostanza  la
sentenza emessa ai sensi dell'art. 578 codice di procedura penale  e'
una sentenza di condanna suscettibile anche di revisione. 
    Non essendo possibile interpretare  in  maniera  convenzionlmente
conforme l'art.  578  codice  di  procedura  penale,  secondo  quanto
stabilito a partire dalle c.d. sentenze gemelle nn.  348  e  349  del
2007 della Corte costituzionale, e' necessario sollevare incidente di
costituzionalita' della predetta norma per contrasto con gli articoli
6, comma 2, Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 117, comma 1,  Cost.  nella
parte in cui stabilisce  che  il  giudice  dell'appello  penale,  che
dichiara estinto per prescrizione il reato per cui e' intervenuta  in
primo grado condanna, e' tenuto  a  decidere  sull'impugnazione  agli
effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli
interessi civili. 
    Spetta,   infatti,   alla   Corte   costituzionale   intervenire,
nell'impossibilita' di un'interpretazione convenzionalmente  conforme
della norma di  diritto  interno  in  contrasto  con  la  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali,  che  procedera'  al  necessario  bilanciamento   degli
interessi e dei diritti fondamentali in gioco. 
    A  quest'ultimo  riguardo,  vale  la   pena   soffermarsi   sulla
circostanza che, come la stessa Corte costituzionale ha ricordato, la
norma di cui all'art. 578  codice  di  procedura  penale  rappresenta
un'eccezione nel rapporto che regola l'esercizio  dell'azione  civile
nel processo penale (vedi la gia' citata Corte  cost.  n.  176/2019),
che non viene pregiudicato nell'ipotesi in cui alla pronuncia di  non
doversi procedere per estinzione del reato da parte  del  giudice  di
appello non  dovesse  fare  seguito  la  conferma  delle  statuizioni
civili, per effetto  dell'eventuale  accoglimento  dell'incidente  di
costituzionalita' proposto. Invero, la costituzione di  parte  civile
nel processo penale interrompe  il  decorso  della  prescrizione  del
diritto al risarcimento del danno  con  effetti  permanenti  fino  al
passaggio in giudicato della sentenza che dichiara  l'estinzione  del
reato per prescrizione, cominciando a decorrere  nuovamente  da  tale
data (Cass. civ. sez. III, 20 giugno 1978,  n.  3036).  Peraltro,  la
sentenza dichiarativa dell'estinzione del  reato  non  avrebbe  alcun
effetto nell'eventuale giudizio civile  di  risarcimento  del  danno.
Quanto al diritto della parte civile di ottenere in tempi ragionevoli
il risarcimento del danno  patito  per  effetto  del  reato,  diritto
certamente costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 111,  comma
2, Cost. deve osservarsi che lo stesso e' certamente  assicurato  dal
riconoscere alla vittima o danneggiato dal reato la  possibilita'  di
citare autonomamente davanti al giudice civile l'autore del reato per
ottenere il ristoro, e, in ogni caso, dovrebbe  cedere  il  passo  di
fronte  ad  altri  diritti  costituzionalmente  e   convenzionalmente
tutelati, quali il diritto di difesa dell'imputato e, come  nel  caso
di  specie,  il  suo  diritto  a  vedersi  presumere  innocente  fino
all'accertamento definitivo della sua colpevolezza. 
    Sul punto, si richiamano le argomentazioni con le quali la  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 12  del  2016,  relativamente  alle
questioni  sollevate  in  ordine  alla  legittimita'   costituzionale
dell'art. 538 codice di procedura  penale  nella  parte  in  cui  non
consente al giudice penale di condannare l'imputato  al  risarcimento
del danno in favore della parte civile in caso di proscioglimento per
qualsiasi causa, compreso il vizio totale di  mente,  ha  superato  i
profili  riguardanti   l'asserita   violazione   del   principio   di
ragionevole durata del processo (art.  111,  secondo  comma,  secondo
periodo, Cost.), ovvero il richiamo all'art.  6  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali nella parte in cui tutela anche i diritti civili. 
    Invero, si legge  testualmente  nella  sentenza:  «con  riguardo,
infine, all'asserita violazione del principio di  ragionevole  durata
del processo (art.  111,  secondo  comma,  secondo  periodo,  Cost.),
questa Corte ha ripetutamente affermato che - alla luce dello  stesso
richiamo al connotato di «ragionevolezza», che compare nella  formula
costituzionale -possono arrecare un vulnus a quel principio solamente
le norme «che comportino una dilatazione dei tempi del  processo  non
sorrette da alcuna logica esigenza» (ex plurimis, sentenze n. 23  del
2015 n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005). Tale  ipotesi  non  e'
ravvisabile nel caso  considerato.  La  preclusione  della  decisione
sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato per
qualsiasi causa - compreso  il  vizio  totale  di  mente  -  se  pure
procrastina la pronuncia definitiva sulla  domanda  risarcitoria  del
danneggiato,  costringendolo  ad  instaurare  un  autonomo   giudizio
civile,  trova  pero'  giustificazione,  come  gia'  rimarcato,   nel
carattere  accessorio  e  subordinato  dell'azione  civile   proposta
nell'ambito  del  processo  penale   rispetto   alle   finalita'   di
quest'ultimo, e segnatamente nel  preminente  interesse  pubblico  (e
dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale
che  non  si  concluda  con  un  accertamento   di   responsabilita',
riportando nella sede naturale le  istanze  di  natura  civile  fatte
valere nei suoi confronti. Cio', in linea, una volta ancora,  con  il
favore per la separazione dei giudizi  cui  e'  ispirato  il  vigente
sistema  processuale.  [...]  Parimenti  non  probanti  appaiono,  da
ultimo, i riferimenti alla giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo operati dalla parte privata: anche in questo  caso,
con semplice funzione rafforzativa delle denunciate violazioni  degli
articoli 24 e 111 Cost., non figurando tra i  parametri  dell'odierno
scrutinio quello piu'  direttamente  conferente  (l'art.  117,  primo
comma, Cost.). La Corte europea dei diritti dell'uomo e', in effetti,
costante nel riconoscere che, nella misura  in  cui  la  legislazione
nazionale  accordi  alla  vittima  del  reato  la   possibilita'   di
intervenire nel processo penale  per  difendere  i  propri  interessi
tramite la costituzione di parte civile, tale diritto va  considerato
un «diritto civile» agli effetti dell'art. 6, § 1, della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,  n.  848,  con  conseguente
spettanza, alla vittima  stessa,  delle  garanzie  in  tema  di  equo
processo ivi stabilite, compresa  quella  relativa  alla  ragionevole
durata (Grande  Camera,  sentenza  12  febbraio  2004,  Perez  contro
Francia; in senso conforme, tra le altre, sezione terza, sentenza  25
giugno 2013, Associazione delle persone vittime  del  sistema  s.  c.
Rompetrol s. a. e s. c. Geomin s. a. e altri contro  Romania;  Grande
Camera, sentenza 20 marzo  2009,  Gorou  contro  Grecia).  In  questa
logica, la Corte europea si e', peraltro, specificamente occupata, in
piu' occasioni, dell'ipotesi del mancato esame  della  domanda  della
parte  civile  per  essersi  il  procedimento   penale   chiuso   con
provvedimento diverso dalla condanna dell'imputato,  in  applicazione
di una regola condivisa - sia pure con diverse varianti e  gradazioni
- da plurimi ordinamenti nazionali. Tale regime non e' stato  affatto
ritenuto,  in  se'  e  per  se',   contrastante   con   le   garanzie
convenzionali. La violazione dell'art. 6  della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, in particolare sotto il profilo del diritto di  accesso
ad un tribunale, e' stata ravvisata dai giudici di Strasburgo solo in
due ipotesi. In primo luogo, quando la vittima del reato non  fruisca
di altri rimedi accessibili ed efficaci per far valere le sue pretese
(sezione terza, sentenza 25 giugno 2013, Associazione  delle  persone
vittime del sistema s. c. Rompetrol s.a. e s. c. Geomin s.a. e  altri
contro  Romania;  sezione  prima,  sentenza  4  ottobre  2007,  Forum
Maritime s.a. contro Romania): rimedi che, nell'ordinamento italiano,
sono invece offerti  dalla  possibilita'  di  rivolgersi  al  giudice
civile.  In  secondo  luogo,  la  violazione  e'  stata   riscontrata
allorche'  il   concreto   funzionamento   del   meccanismo   frustri
indebitamente le legittime aspettative del danneggiato, come nel caso
in cui la prescrizione della responsabilita' penale  dell'autore  del
reato, impeditiva dell'esame della domanda civile, sia  imputabile  a
ingiustificati ritardi delle autorita' giudiziarie  nella  conduzione
del procedimento penale (Grande  Camera,  sentenza  2  ottobre  2008,
Atanasova contro Bulgaria; sezione prima,  sentenza  3  aprile  2003,
Anagnostopoulos contro Grecia):  malfunzionamento  che  non  dipende,
peraltro, dalla norma e che  comunque  non  viene  in  considerazione
nell'ipotesi qui in esame.» (Corte cost. n. 12/2016). 
    3.2. Rispetto al diritto dell'Unione europea. 
    Infine, volendo  esaminare  la  questione  anche  sul  piano  del
diritto dell'U.E., deve osservarsi che l'Unione europea ha emanato da
tempo,  ai  sensi  dell'art.  82  §  2  lettera   b)   Trattato   sul
funzionamento  dell'Unione  europea,  una  specifica  direttiva   sul
rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione  di  innocenza  (la
direttiva del Parlamento e del  Consiglio  2016/UE/343  del  9  marzo
2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di recepimento
fino al 1° aprile 2018). 
    In particolare, l'art. 3, rubricato «Presunzione  di  innocenza»,
stabilisce che gli  Stati  membri  assicurano  che  agli  indagati  e
imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino  a  quando
non ne sia stata legalmente  provata  la  colpevolezza.  All'art.  4,
rubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che
gli Stati membri adottano le misure  necessarie  per  garantire  che,
fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata
legalmente  provata,  le  dichiarazioni   pubbliche   rilasciate   da
autorita' pubbliche e le  decisioni  giudiziarie  diverse  da  quelle
sulla colpevolezza non presentino la  persona  come  colpevole.  Cio'
lascia  impregiudicati  gli  atti  della  pubblica  accusa  volti   a
dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato  e  le  decisioni
preliminari di natura procedurale adottate da autorita' giudiziarie o
da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su  indizi  di
reita'. Il Considerando 11 chiarisce che la direttiva si  applica  ai
procedimenti penali nell'accezione  data  dall'interpretazione  della
Corte di giustizia UE, fatta  salva  la  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo. Il  Considerando  16  della  direttiva
chiarisce  che  la  presunzione  di  innocenza  sarebbe  violata   se
dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche o decisioni
giudiziarie  diverse  da  quelle  sulla  colpevolezza   presentassero
l'indagato  o  imputato  come  colpevole  fino  a   quando   la   sua
colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali  dichiarazioni  o
decisioni giudiziarie non  dovrebbero  rispecchiare  l'idea  che  una
persona sia colpevole. Cio' dovrebbe lasciare impregiudicati gli atti
della  pubblica  accusa  che  mirano  a  dimostrare  la  colpevolezza
dell'indagato o imputato, come l'imputazione,  nonche'  le  decisioni
giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti di una  pena
sospesa, purche' siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero,
altresi', restare impregiudicate le decisioni preliminari  di  natura
procedurale, adottate da autorita' giudiziarie o da  altre  autorita'
competenti e fondate sul sospetto o su indizi  di  reita',  quali  le
decisioni riguardanti la custodia cautelare, purche'  non  presentino
l'indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione
preliminare di natura procedurale,  l'autorita'  competente  potrebbe
prima dover verificare  che  vi  siano  sufficienti  prove  a  carico
dell'indagato o imputato tali  da  giustificare  la  decisione  e  la
decisione potrebbe contenere  un  riferimento  a  tali  elementi.  Il
Considerando  17  della  direttiva  precisa  che  per  «dichiarazioni
pubbliche rilasciate  da  autorita'  pubbliche»  dovrebbe  intendersi
qualsiasi dichiarazione  riconducibile  a  un  reato  proveniente  da
un'autorita' coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale
reato, quali le autorita' giudiziarie, di polizia e  altre  autorita'
preposte  all'applicazione  della  legge,  o  da  un'altra  autorita'
pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo  restando
che cio' lascia impregiudicato il diritto  nazionale  in  materia  di
immunita'. Ai sensi dell'art. 13 della direttiva nessuna disposizione
della stessa puo' essere interpretata in modo da limitare o  derogare
ai diritti e alle garanzie  procedurali  garantiti  dalla  carta  dei
diritti  fondamentali  UE,   dalla   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  da
altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dal diritto
di qualsiasi Stato membro che assicurino  un  livello  di  protezione
piu' elevato. 
    Come ha definitivamente chiarito di recente la Corte di giustizia
UE (vedi Corte di  giustizia  UE,  I  Sez.,  13  giugno  2019,  causa
C-646/17, Moro, punti da 29 a 37),  le  direttive  emanate  ai  sensi
dell'art. 82, § 2, comma 1, Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea,   si   applicano   a    qualunque    procedimento    penale,
indipendentemente  dal  fatto  che  abbia  o  meno   una   dimensione
transnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie  penali  aventi
dimensione  transnazionale.  Di  conseguenza,  devono  essere  tenute
presenti in qualsiasi procedimento penale. Cio' comporta, come logico
corollario, l'applicazione della Carta dei diritti  fondamentali  UE,
ai sensi dell'art. 51, § 1, della medesima,  che  stabilisce  che  le
disposizioni   della   Carta   si   applicano   agli   Stati   membri
esclusivamente  nell'attuazione  del  diritto  dell'U.E.  (Corte   di
giustizia UE, 26 febbraio 2013, causa  C-617/10,  Akerberg  Fransson,
punto 17). Pertanto, nell'attuazione del  diritto  dell'U.E.  non  si
puo' prescindere dall'art. 48 della CDFUE, e,  siccome  la  Carta  e'
equiparata ai Trattati (art. 6, § 1, TUE) e ne ha  lo  stesso  valore
giuridico, ne consegue che trattasi di diritto primario dell'UE. 
    Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo  con  riguardo  alla  presunzione  di   innocenza   sancita
dall'art. 6, comma 2, Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  possono  ritenersi
pienamente viventi ed operanti  anche  in  ambito  UE  attraverso  la
citata direttiva e l'art. 48 della CDFUE (tenuto conto che il diritto
alla presunzione di innocenza in esso sancito, conformemente all'art.
52, § 3, della CDFUE, ha significato e portata identici allo.  stesso
diritto garantito dalla CEDU), con  la  conseguente  possibilita'  di
disapplicare le norme interne che dovessero porsi in contrasto con le
norme UE aventi efficacia diretta. 
    Peraltro,  trattandosi  di  questione   che   coinvolge   diritti
fondamentali che godono tutela sia in ambito  UE  che  interno  (vedi
art.  27  Cost.),  la  relativa  questione  puo'  essere   sottoposta
all'attenzione anche  della  Corte  costituzionale,  ai  sensi  degli
articoli  11  e  117,  comma  1,  Cost.,  come  chiarito   da   Corte
costituzionale n. 269/2917, n. 20/2019 e n. 63/2019. 
    Secondo la Corte di giustizia UE (vedi Corte di giustizia UE,  II
Sez., 5 settembre  2019,  causa  C-377/18,  Ah  e  altri),  ai  sensi
del'art. 4, § 1, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli  Stati
membri sono tenuti ad adottare le  misure  necessarie  per  garantire
che, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da  quelle  sulla
colpevolezza non presentino un indagato o un imputato come  colpevole
fino a quando la sua colpevolezza non sia stata  legalmente  provata.
Secondo il Considerando 16 tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie
non dovrebbero rispecchiare l'idea che  una  persona  sia  colpevole.
Nonostante l'art. 4, § 1, della citata  direttiva  lasci  agli  Stati
membri un margine di discrezionalita'  per  l'adozione  delle  misure
necessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto  che,  come
si evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il livello di tutela
previsto dagli Stati membri- non dovrebbe mai essere  inferiore  alle
norme della Carta o della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, segnatamente  quelle
sulla presunzione di innocenza. A tale riguardo, sottolinea la  Corte
del Lussemburgo (vedi punto 41), occorre rilevare che la  presunzione
di innocenza e' sancita dall'art.  48  dela  CDFUE,  il  quale,  come
risulta  dalle  spiegazioni  relative  a  quest'ultima,   corrisponde
all'art. 6, commi 2 e 3, Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali.  Ne  consegue  che,
conformemente   all'art.   52,   §   3,   della   Carta,   ai    fini
dell'interpretazione dell'art. 48 di quest'ultima occorre prendere in
considerazione l'art. 6, commi 2 e  3,  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
quale soglia di protezione minima. Sicche', in assenza di indicazioni
precise nella direttiva 2016/UE/343 e nella  giurisprudenza  relativa
all'art. 48 della CDFUE su come debba stabilirsi se una  persona  sia
presentata o meno come colpevole in  una  decisione  giudiziaria,  ai
fini  dell'interpretazione  dell'art.  4,  §   1,   della   direttiva
2016/UE/343 occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell'uomo  relativa  all'art.  6,  comma  2,  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (punto 42: nel caso di specie la Corte di giustizia  UE,
proprio rifacendosi ad un precedente della Corte europea dei  diritti
dell'uomo, riteneva che  l'art.  4  della  direttiva  dovesse  essere
interpretato nel senso che non ostasse a che  un  accordo  nel  quale
l'imputato  riconosce  la  propria  colpevolezza  in  cambio  di  una
riduzione di  pena,  e  che  deve  essere  approvato  da  un  giudice
nazionale,  menzioni  espressamente  quali  coautori  del  reato  non
soltanto  tale  imputato  ma  anche  altre  persone  imputate  in  un
procedimento separato, che procede ordinariamente, a  condizione,  da
un lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della
responsabilita' giuridica dell'imputato che  ha  concluso  l'accordo,
dall'altro, che il medesimo  accordo  indichi  chiaramente  che  tali
altre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e  che
la loro colpevolezza non e'  stata  legalmente  accertata;  in  altra
sentenza - Corte di giustizia UE, I Sez., 19  settembre  2018,  causa
C-310/18 PRI; Milev -, la Corte ha affermato che l'art. 4, § I, della
direttiva 2016/UE/343 deve essere letto alla  luce  del  Considerando
16, secondo il quale il rispetto della presunzione di  innocenza  non
pregiudica  le  decisioni  riguardanti,  ad  esempio,   la   custodia
cautelare,  purche'  non  presentino  l'indagato  o   imputato   come
colpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere  una
decisione preliminare di natura procedurale,  l'autorita'  competente
potrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a
carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la  decisione  e
quest'ultima potrebbe contenere un riferimento a  tali  elementi.  Da
quanto precede risulta che, nell'ambito dei procedimenti  penali,  la
direttiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § 1,
non  ostano  all'adozione  di   decisioni   preliminari   di   natura
procedurale, come una decisione di mantenere una misura  di  custodia
cautelare adottata da un'autorita' giudiziaria, fondate sul  sospetto
o su indizi di reita',  purche'  tali  decisioni  non  presentino  la
persona detenuta come colpevole). 
    Alla luce di cio', si dubita che sia conforme al . diritto UE una
decisione giudiziaria, emessa in grado di appello, costituita da  una
sentenza di non  doversi  procedere  per  estinzione  del  reato  per
prescrizione  con   conferma   delle   statuizioni   civili,   previo
accertamento della responsabilita' dell'imputato in ordine  al  reato
ascrittogli,  nell'ambito  della  quale,  dunque,  l'imputato,  senza
essere stato legalmente dichiarato colpevole, e' presentato non  come
sospettato o meramente indiziato di avere commesso il  reato,  bensi'
come colpevole, sebbene ai fini della conferma del riconoscimento del
risarcimento del danno, gia' disposto dal giudice di primo grado,  in
favore della costituita parte civile. 
    Anche in questo caso, eventuali bilanciamenti con altri interessi
o diritti tutelati dall'ordinamento U.E. (con riguardo,  ad  esempio,
alla parte civile «vittima» del reato, come si  evince  dall'art.  16
della direttiva 2012/UE/29), spettano alla Corte costituzionale. 
    Al riguardo, vanno ancora una volta richiamate le  argomentazioni
con le quali la Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del  2016,
relativamente alle questioni sollevate in  ordine  alla  legittimita'
costituzionale dell'art. 538 codice di procedura penale  nella  parte
in cui non consente al giudice penale  di  condannare  l'imputato  al
risarcimento del danno in  favore  della  parte  civile  in  caso  di
proscioglimento per qualsiasi causa,  compreso  il  vizio  totale  di
mente, ha superato i profili riguardanti l'asserita violazione  anche
del diritti) dell'U.E. 
    Invero,  si  legge  testualmente  nella  sentenza:  "non   giova,
altresi', alle tesi del giudice a quo il richiamo alla  direttiva  25
ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,
che istituisce norme minime  in  materia  di  diritti,  assistenza  e
protezione delle vittime di reato: richiamo  destinato,  peraltro,  a
fungere da mero argomento di  supporto  delle  altre  doglianze,  non
avendo  il  rimettente  evocato  i   parametri   costituzionali   che
inporrebbero - in ipotesi - l'adeguamento  dell'ordinamento  italiano
alle istanze sovranazionali richiamate (ossia gli articoli 11 e  117,
primo  comma,  Cost).  Al  riguardo,  e'  sufficiente  osservare  che
l'obbligo degli Stati membri -  sancito  dall'art.  16,  §  1,  della
citata direttiva - di garantire alla vittima «il diritto di  ottenere
una decisione in merito al  risarcimento  da  parte  dell'autore  del
reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole  lasso
di tempo», risulta espressamente subordinato alla condizione che  «il
diritto nazionale [non]  preveda  che  tale  decisione  sia  adottata
nell'ambito di un altro procedimento giudiziario». Il che e'  proprio
quanto si verifica, secondo l'ordinamento italiano,  nell'ipotesi  in
esame».